Se le cose si mettono male, via nel bunker!

Sapevate che la posa delle modine è una pratica in uso solo in Svizzera? O che in nessun altro Paese del mondo i rifugi sono tanto numerosi? Ecco a voi alcune peculiarità dal sapore squisitamente elvetico.

Ma a cosa mai serviranno quei pali piantati nel terreno? Una domanda che Regine Giesecke si è fatta sin dalla prima volta in cui ha messo piede in Svizzera. Trasferitasi a Zugo dalla Germania nel 2008, Giesecke non è stata certo la prima forestiera a reagire con stupore alla vista delle modine. La Svizzera è, con tutta probabilità, l’unico Paese in cui la «modinatura» (o «picchettamento») – questi i termini tecnici – è una pratica corrente.

Tale fu l’impressione che le modine le provocarono che Giesecke, fotografa di professione, iniziò a farne l’oggetto dei suoi scatti. «Ad affascinarmi è l’estetica di quei pali sottili che si ergono verso il cielo. Segnano una fase di passaggio: la nuova realtà non esiste ancora mentre quella vecchia non ha ancora cessato di esistere. Passato e futuro si sovrappongono.» Ne è risultata una serie di fotografie che l’artista ha voluto mostrare al pubblico nell’ambito di un’esposizione.

Ma ciò che per la fotografa ha un fascino essenzialmente estetico assolve, in effetti, a una funzione molto pratica. «La modinatura ha lo scopo di garantire la trasparenza pubblica. I profili indicano le dimensioni della costruzione in progetto: perimetro, altezza e superficie», spiega Daniel Keller, a capo della Keller + Steiner AG, azienda leader nella fornitura di modine. Che lui sappia, in nessun altro Paese al mondo il picchettamento è prescritto dalla legge.

«La modinatura ha lo scopo di garantire la trasparenza pubblica.»

Espressione di una cultura democratica

È probabile che le modine abbiano a che vedere con il sistema democratico della Svizzera. Sono infatti parte integrante del processo di costruzione, nell’ambito del quale i cittadini hanno diritti di codecisione relativamente ampi. I profili vanno posati al momento della presentazione della domanda di costruzione e non possono essere rimossi prima della concessione dell’autorizzazione edilizia. In media, restano in loco per circa tre mesi, dice Keller. Ma i tempi possono variare da poche settimane a più anni, a seconda della durata della procedura di autorizzazione e ricorso. L’unica città in cui la modinatura non è prevista è Basilea.

Le norme in materia di picchettamento cambiano di comune in comune. «E non mancano le sorprese», commenta Keller con un sorriso. Le modine in sé non tendono a creare disagi. «Anche se a volte capita di sentire le proteste di qualche vicino, infastidito perché i profili gli rovinano il panorama.» Tutto considerato, comunque, le modine hanno un effetto positivo: la nuova costruzione appare molto più tangibile che se vista solo sotto forma di progetto o di plastico. Un vantaggio riconosciuto anche al di là dei confini nazionali, ad esempio a Oxford, dove l’amministrazione locale sta valutando l’introduzione della modinatura.

Mai visti tanti rifugi in così poco spazio

Gli stranieri tendono a considerare alquanto bizzarra anche un’altra realtà del tutto normale in Svizzera: il rifugio antiaereo. Adibito a sala musicale, deposito per le cianfrusaglie o alloggio militare, il rifugio è un ambiente che pressoché chiunque, da queste parti, conosce e utilizza. Anche Silvia Berger Ziauddin. Lei, da bambina, nel rifugio andava a prendere i vasetti della marmellata. Oggi è studiosa di storia e la maggiore conoscitrice delle vicende legate ai rifugi antiaereo in Svizzera.

«La Svizzera è uno dei pochi Stati che ‹impone› ai suoi cittadini la disponibilità di un rifugio», spiega Berger Ziauddin. In tutto il Paese ci sono circa 360’000 rifugi per la popolazione. In linea di principio, ogni abitante dispone di un posto protetto. È un record mondiale. Tanto che persino «Die Welt» ha ironizzato su questa «mania» dei vicini elvetici. «Chiedete a uno svizzero se ha un rifugio – vi guarderà come se gli aveste domandato se respiri aria», ebbe a scrivere l’autorevole quotidiano tedesco. D’altronde, proprio la Germania è uno dei Paesi in cui il concetto di rifugio è più controverso e difficile da digerire: cantine e interrati sono associati a disgrazie e sventure, perché proprio lì hanno trovato la morte tanti tedeschi durante i bombardamenti della Seconda guerra mondiale. Non tutti, però, sono così scettici. «Riceviamo spesso manifestazioni di interesse – soprattutto da parte di Paesi dell’Est asiatico – per un’infrastruttura considerata esemplare», spiega Pascal Aebischer dell’Ufficio federale della protezione della popolazione (UFPP).

In Svizzera quella per i rifugi – come anche per i bunker militari – è una simpatia quasi genetica. «Da noi, costruire nel sottosuolo e nella montagna è percepito positivamente», chiarisce la storica Berger Ziauddin. «La ragione è da ricercarsi nell’orgoglio che nutriamo per le nostre gallerie e per la strategia del ridotto nazionale attuata nella Seconda guerra mondiale. Si diceva che se la nazione era uscita indenne dal conflitto era proprio perché si era dotata di quei bunker per il ritiro delle truppe.» In modo analogo, anche durante la guerra fredda la costruzione di rifugi e bunker era intesa a comunicare la volontà di resistere ad attacchi esterni.

Nel 2011, comunque, l’obbligo di realizzare rifugi era a un passo dall’essere annullato. Il disastro nucleare di Fukushima indusse però il Consiglio nazionale a ripensarci. Ciononostante, la situazione è radicalmente cambiata: se fino a non molto tempo fa, la realizzazione di un rifugio era obbligatoria per ogni casa unifamiliare di nuova costruzione, attualmente lo è solo per gli edifici con oltre 38 locali e solo nei comuni in cui non vi sono posti protetti a sufficienza.

Secondo Berger Ziauddin, oggi la mentalità del ridotto nazionale è sostanzialmente scomparsa e l’approccio ai rifugi si è fatto più pragmatico. Gli spazi vengono spesso destinati a usi diversi o affittati, ad esempio come centri di accoglienza per richiedenti asilo o sedi di associazioni. In questo modo, i comuni hanno una fonte aggiuntiva di entrate e l’infrastruttura viene mantenuta in buono stato.

A ogni casa la sua siepe

Oltre alla sicurezza, pare che agli svizzeri stia molto a cuore anche la definizione di confini chiari. Almeno a giudicare dal numero record di siepi. Una casa unifamiliare con il suo prato ordinato e la sua bella siepe di tuia? Un’immagine – e una realtà – molto diffusa. A detta dei siti web specializzati, se la siepe è tanto amata è perché offre protezione da sguardi indiscreti e delimita chiaramente gli spazi. Evidentemente, gli svizzeri ci tengono alla loro privacy.

La classica siepe dalla forma squadrata è composta da una sola varietà di arbusto. Le siepi create con piante di vario tipo sono senz’altro più interessanti, ma anche meno compatte. Per la delimitazione dei confini risultano particolarmente adatti bambù e rampicanti.

Secondo Andreas Wasserfallen, il numero di siepi da Guinness dei primati è una conseguenza diretta dell’alta densità della popolazione. Esperto del tema, l’avvocato di Berna si destreggia come pochi altri nella giungla di norme in materia. «Le controversie sulle piante di confine non sono una novità dei nostri tempi. La letteratura giuridica al riguardo copre almeno gli ultimi 100 anni.» Le leggi cambiano di Cantone in Cantone. A Zugo, ad esempio, una siepe deve essere piantata a una distanza non inferiore alla metà della sua altezza dal confine del fondo. In parole povere, una siepe di tuia alta 4 metri deve essere posta ad almeno 2 metri di distanza dal confine con la proprietà del vicino.

Ciò che invece vale in tutta la Svizzera è il diritto di tagliare, fino al confine tra le due proprietà, i rami sporgenti dal fondo del vicino nel momento in cui essi causano danni considerevoli al proprio fondo. Prima di intervenire, però, bisogna dare al vicino la possibilità di rimediare entro un tempo adeguato. E comunque, in situazioni di conflitto è sempre meglio cercare un accordo senza ricorrere ai tribunali, consiglia Wasserfallen. Perché a cosa serve vincere una causa se il processo compromette i rapporti di buon vicinato?

Le liti tra vicini non sono certo una peculiarità svizzera. È anche vero, però, che in un Paese così densamente popolato gli animi si scaldano con una certa facilità. E comunque, se le cose si mettono male, ci si può sempre rintanare nel rifugio. Almeno quello.

Quando la nuova realtà non esiste ancora e quella vecchia non ha ancora cessato di esistere

Residente a Zugo dal 2008, Regine Giesecke è specializzata in fotografia di architettura. Oltre a lavorare su incarico per molti committenti, tra i quali non da ultimo Alfred Müller AG, realizza vari progetti personali.

Nel 2013, ha esposto una serie di fotografie di grande formato sul tema delle modine in una mostra allestita nella Shedhalle di Zugo e presso l’ufficio tecnico del Cantone di Zugo. Le immagini, inoltre, sono state esposte nell’ambito dello Swiss Photo Award 2013 di Zurigo.

 

Ad affascinarla è, da una parte, l’estetica delle modine: «Quei pali sottili si innalzano verso il cielo in un intreccio filiforme», scrive, «creando un contrasto sia con l’architettura che con il paesaggio naturale.» Dall’altra, è il loro valore simbolico: nei profili sembra materializzarsi la sovrapposizione tra passato e futuro. «La nuova realtà non esiste ancora mentre quella vecchia non ha ancora cessato di esistere.» La scomparsa di edifici storici e la transizione alla modernità è un tema al centro anche di altri lavori di Regine Giesecke.

Seestrasse, Zugo. Installazione di Samuel Haettenschweiler.
Löberenstrasse 25, Zugo.

 

Ferragosto: un’antica tradizione

Cosciente del valore delle tradizioni, Alfred Müller AG perpetua l’antica usanza della festa per la conclusione dei lavori di costruzione grezza di un nuovo edificio, detta «ferragosto» nella Svizzera italiana. Celebrata già nel Medioevo, la cerimonia costituiva in origine l’occasione per retribuire gli artigiani. «Con l’organizzazione di questa festa desideriamo ringraziare tutte le persone coinvolte nella costruzione», dichiara Christoph Müller, presidente del Consiglio di amministrazione e committente dei lavori. «Ci teniamo a esprimere la nostra stima e considerazione nonché la nostra gratitudine per il fatto che il progetto si sia svolto senza incidenti.» In genere, per il ferragosto l’impresa immobiliare di Baar offre agli invitati uno squisito menù di tre portate. Oltre al responsabile del progetto, anche Christoph Müller si rivolge personalmente ai presenti con un breve discorso, esprimendo loro un sincero ringraziamento, raccontando episodi aneddotici della costruzione ed esponendo dati interessanti sul progetto. Infine, artigiani e progettisti ricevono un dono.

«È una bella tradizione che desideriamo preservare e perpetuare.»

Christoph Müller, presidente del Consiglio di amministrazione

Sebbene la tradizione voglia che la festa si tenga al completamento della costruzione grezza, Alfred Müller AG la organizza quando i lavori sono già in uno stadio avanzato. Inoltre, poiché al giorno d’oggi le sere sono spesso occupate da mille impegni, anziché una cena la società offre un pranzo. Gli artigiani apprezzano molto questa usanza, Christoph Müller ne è certo: «È una bella tradizione che desideriamo preservare e perpetuare.»

Con un dono e un buon pranzo, Alfred Müller AG esprime la propria gratitudine per il lavoro svolto.
Foto: Alfons Gut